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  • Immagine del redattoreDott.ssa Romina Romano

SENTIRSI DEPRESSI: quando si combatte un "nemico" senza volto

Aggiornamento: 7 mag 2020


La depressione è un buco nero nel quale si sprofonda sempre di più. Nessuno può sentirci e nessuno può tirarci fuori se non è la persona stessa a volerlo. Se si osserva bene, in quel buco buio e umido, vi è una fune a cui ci si potrebbe aggrappare. Avere una famiglia amorevole, un lavoro soddisfacente, salute fisica, bellezza, intelligenza e innumerevoli altre qualità e risorse che dovrebbero spingere la persona depressa a reagire. Tuttavia, agl’occhi di chi si sente depresso tutto questo è solamente uno sconfinato panorama grigio senza anima.



Perché si cade nella depressione?

Quando la depressione giunge in seguito a un evento negativo come un lutto o una perdita (lavoro, fine di un rapporto, allontanamento dei figli…) che ha totalmente sconvolto la vita della persona, l’origine della depressione ha un volto, ha un nome e un’identità. In altre parole, le cause di quello stato di perenne tristezza sono manifeste e sarà necessario un processo di elaborazione del dolore finché la persona non sarà pronta ad accettare l’evento negativo.

In altri casi, però, la depressione giunge senza una motivazione apparente. Chi la “subisce” in un primo momento si sforza di comprendere cognitivamente a cosa possa attribuirla, scava dentro di sé, inizia a rimettere in discussione la sua vita, prova ad accusare il passato, ma non trova niente di effettivamente concreto con cui spiegare l’orrendo stato d’animo che succhia via tutta la voglia di esistere. I periodi di depressione sono sempre più frequenti e più lunghi, mentre le energie per reagire si esauriscono lentamente, finché la persona non ha più la forza di combattere e reagire.



Guarire si può

Non esistono ricette preconfezionate per far “scomparire” una sofferenza. Tuttavia ci sono alcuni elementi che sono necessari: la volontà della persona che soffre, chiedere sostegno alle persone che si amano e non vergognarsi di aver bisogno dell’aiuto di un professionista.

Alcune consapevolezze possono aiutare a compiere i primi passi verso la guarigione.


“Io sono depresso” vs “Io ho la depressione”. C’è differenza tra essere depressi e avere la depressione. Nel primo caso ci stiamo identificando con il problema al punto da diventare la depressione. Nel secondo, si riconosce che sentirsi depressi è solo uno degli aspetti di sé. Questo è molto importante poiché permette di cambiare lo sguardo con cui vediamo noi stessi. Quando si è nella depressione, il rischio è quello di rimanere prigionieri di uno stato dell’essere che su ogni piano riporta alla depressione: il corpo è chiuso in sé stesso, le emozioni sono tristi, i pensieri sono negativi, le energie sono assenti e l’anima è come se non ci fosse più.

La psicologia Transpersonale sostiene che la persona è uno spettro di ampie possibilità di essere, ma tende a prediligere uno o più spicchi di questo ventaglio di modalità. Nella depressione è come se si restasse imprigionati in una sola visione di sè.

Disidentificarsi dalla depressione significa riconoscere che lo stato in cui ci si trova è solo uno degli innumerevoli stati in cui possiamo essere. Significa dunque passare dall’idea di “essere depresso” a quella di “essere Mario Rossi che in quel momento ha la depressione”.


“Nemico” vs “Alleato”. Il motivo per cui il depresso giunge a restare senza energie è il fatto che le ha

esaurite tutte nella lotta contro un nemico senza volto. Se si è giunti al punto di essere stanchi di combattere, allora probabilmente si è pronti per ribaltare il ruolo della depressione da “nemico” ad “alleato” per saltare in una nuova versione di sé. Il cambiamento fa davvero paura, significa uscire da un modo di essere disfunzionale ma allo stesso tempo conosciuto, a un modo di essere ancora inesplorato. Per restare nella metafora del ventaglio, a un certo punto della vita, la necessità di uscire da uno spicchio si farà sempre più urgente. In quest’ottica la lotta che eseguiamo contro la depressione, può essere vista come la resistenza alla sofferenza per paura di cambiare. Forse, non è il dolore a non volerci lasciare in pace, a volte siamo noi stessi ad aggrapparci ad esso pur di non accettare la paura del cambiamento.


“L’unica lotta è in nome della felicità”. Se esiste una battaglia che ha senso combattere nella depressione, è quella per raggiungere la felicità. Se invece di lottare contro ciò che ci fa stare male, si lotta per ciò che ci può rendere felici, anziché disperdere energie troveremo nuove fonti a cui attingerle. Sia questo il mantra di tutte le mattine “Ogni giorno io mi sveglio e mi prendo cura di me stesso/a”.


Chiedere aiuto”. Nella depressione è come essere chiusi in una grande bolla. La persona ha la sensazione di vivere in un microcosmo isolato da tutto il resto, con un linguaggio che nessuno può comprendere e senza la possibilità di entrarvi.

Seppur la chiusura in sé stessi è sacra, in quanto ci permette di portare lo sguardo e l’attenzione dentro di noi per elaborare un dolore o una fase di trasformazione, essa è funzionale sono nella misura in cui essa costituisce solo una fase da cui ottenere la spinta per tornare nel mondo in modo nuovo. Spesso il rischio è che nell’analisi ostinata di quello che abbiamo dentro ci si allontana dal Sé, restando intrappolati tra le ombre e gli abissi del mondo interno.

In questi casi chiedere aiuto diventa un atto di potere e di amore verso se stessi e la propria condizione. Il potere risiede nel coraggio di guardarsi come agenti della propria felicità. L’amore risiede nel riconoscere a sé stessi il diritto ad essere felici.



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